domenica 31 gennaio 2010

Massimo Mezzaroma e l'occasione persa


Vincere una Coppa Italia di pallavolo, pur se di A2, non è cosa da poco. Lo ha fatto, poche ore fa, la M.Roma allenata da un monumento del volley che risponde al nome di Andrea Giani, uno dei tre italiani inseriti nella Hall of Fame di Holyoke. Un traguardo non da poco per la società romana, 'autoretrocessa' in A2 dal suo presidente al termine della stagione 2007/08. Non bastarono, allora, la conquista della Coppa Cev e le semifinali scudetto, per convincerlo a non smobilitare continuando la sua avventura nella massima serie. Il presidente in questione denunciò il disinteresse delle istituzioni, disse ai suoi giocatori con contratti a 'cinque stelle' (Coscione, Marshall, Miljkovic, Mastrangelo) di accasarsi altrove perché la baracca chiudeva e ricominciò dall'A2.




Tale presidente, al secolo Massimo Mezzaroma, neo azionista di riferimento del Siena Calcio, non c'era quando i suoi giocatori alzavano al cielo la Coppa Italia vinta dopo aver battuto 3-0 la Zinella Bologna. Non possedendo il dono dell'ubiquità, Mezzaroma, ha scelto lo Stadio Olimpico dove il nuovo giocattolo ha perso 2-1 lanciando i giallorossi di Ranieri (dei quali il 'nostro' è tifoso) al secondo posto.

«Mi spiace non essere riuscito a far slittare la finale di Coppa Italia, come ho provato a fare», diceva un combattuto Mezzaroma alla vigilia dei due appuntamenti. «Ai ragazzi (del volley, ndr) ho voluto ribadire - continuava - che, nonostante l'impegno economico e il tempo che dovrò dedicare al Siena, non lesinerò per un solo minuto l'attenzione sul volley».

Peccato che, nel frattempo, nei minuti di attenzione già persi una Coppa è stata alzata al cielo.

venerdì 15 gennaio 2010

Fenomenologia dei 'guardaspalle'... del calcio


Ci sono scorte e scorte. Anzi ci sono personaggi e personaggi ai quali viene assegnata una scorta 'legale'. Di quella pagata dallo Stato. Tra questi personaggi ce ne sono alcuni anche nel calcio. Come il vicepresidente e amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani. Sorvolando sui motivi (sicuramente validi) per i quali chi di competenza ha deciso di assegnargliela sin dal maggio 2007, c'è un dubbio che mi assale ogni qualvolta noi, indisciplinata 'fauna' di giornalisti male avvezzi soliti frequentare quel luogo che è il palazzo della Lega Calcio di via Rosellini a Milano, gli andiamo incontro per rivolgergli le 'solite' scontate domande alle quali vengono date le 'solite' scontate risposte: perché il poliziotto 'guardaspalle' gli si para a protezione dell'intoccabile corpo quasi abbarbicandosigli addosso a braccia aperte dalla parte della schiena? Chissà... forse la 'razza' pericolosa siamo noi giornalisti o non quegli ultras che lo hanno minacciato.

martedì 12 gennaio 2010

La cicogna 'porta' Agata, 100% made in Zelig


Nascerà a giorni la prima figlia di Zelig, si chiamerà Agata (o Aituzza come la appellerebbero i catanesi che, prima o poi, le daranno la cittadinanza onoraria visto che non è facile trovare 'Agate' sparse così in giro per l'Italia) e probabilmente ieri ha assistito alla sua ultima conferenza stampa intrauterina: la presentazione della settima edizione di Zelig. Niente scherzi e niente inganni, come direbbero il Mago Forest e il suo esimio collega Silvano il mago di Milano, Agata sarà la 'prima' vera figlia di Zelig... da parte di madre (Katia Follesa del duo Katia & Valeria) e di padre (Angelo Pisani dei Pali & Dispari).


Prima c'erano stati il figlio di Vanessa Incontrada e la figlia di Teresa Mannino. «Ma erano figli di Zelig solo per metà. Questo è un figlio di Zelig al 100%», ha sottolineato Gino, alter ego di Michele, autori della fortunata trasmissione televisiva ma anche di "Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano". Eh sì, questa volta Zelig ha fatto proprio da 'paraninfo' (la citazione della divertente opera del catanese Luigi Capuana non è puramente casuale) ai due comici. «Ero una fan di Angelo ancora prima arrivare a Zelig - racconta Katia - ma lui non si convinceva e il corteggiamento è durato un po' troppo...». Fino ai tempi del 'paraninfo' Zelig... appunto.

venerdì 8 gennaio 2010

Balotelli, la 'rabbia' di un adolescente


Balotelli è un borioso giocatore arrogante o la 'vittima' della becera violenza verbale discriminatoria di un'Italia sempre meno tollerante e sempre più apertamente razzista? Questo è il problema. L'ennesima lotta tra fazioni contrapposte si gioca sulla pelle (in senso figurato e reale) di un ragazzo che rappresenta l'emblema del cambiamento della società: un italiano di pelle nera. Paradigma di una realtà che troppe persone cercano di rifiutare in nome di non si sa quale 'salvaguardia delle radici', quasi come se la razza umana fosse roba da wwf. Il coro 'Non ci sono neri italiani' è quanto di più becero possa ascoltarsi. Perché i 'neri italiani', o più semplicemente gli italiani di pelle nera, ci sono. E ce ne saranno sempre di più. Alcuni sono figli nati in Italia da immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza del nostro Paese, ci sono gli italiani per matrimonio (combinato o meno non cambia), altri sono i bambini adottati all'estero da coppie italiane. Tra questi, anche se la sua storia è molto più complicata e dolorosa perché 'SuperMario' è stato affidato alla famiglia Balotelli e la sua adozione (se il percorso è già stato completato) è stata un'adozione consensuale tra adulti. Capire quanto un adolescente - e Mario Balotelli lo è ancora... un adolescente, nonostante la prestanza fisica, il talento infinito, i soldi e la notorietà che il calcio, notoriamente 'insano' anche per adolescenti meno problematici, gli hanno regalato - possa essere influenzato dal proprio passato, dalle proprie origini, dai traumi nascosti nell'inconscio, dal senso di inadeguatezza che nasce dall'essere stati 'rifiutati', 'allontanati' o anche solo momentaneamente 'dimenticati' quando da neonati o bambini l'unico loro desiderio era essere amati, non è un esercizio semplice nemmeno per chi tutti i giorni fa i conti con bambini e ragazzi che sembrano in lotta perenne con il mondo. Per capire di più sull'argomento consiglio la lettura di 'Perché mi hai preso? Adolescenti adottivi' di Simonetta Cavalli. Contro l'ignoranza razzista, invece, rimane solo il compatimento da riservare a chi ritiene, senza ragione, di essere superiore.

mercoledì 6 gennaio 2010

«Al Catania ci pensa Sinisa», parola di Zazza



«Spogliatoio diviso? Niente paura, ci pensa Sinisa». Il commento è di un nuovo tifoso rossazzurro che risponde al nome di Ivan Zazzaroni. Giornalista sportivo, conduttore di Deejay Football Club e autore del blog zazza.blog.deejay.it, Zazza non è stato folgorato sulla via dell'Etna ma ha 'sposato' la causa da quando all'ombra del 'Liotru' (l'elefante simbolo di Catania per i non indigeni) è arrivato Sinisa Mihajlovic.



Della sua fede 'katanga', neologismo appositamente creato per indicare la squadra etnea, che perdurerà fino a che il serbo rimarrà ancorato alla panchina del club siciliano non c'è da dubitare. Dopo aver esultato al primo storico risultato utile del signor Mihajlovic, l'1-2 dell'Olimpico di Torino rifilato ai bianconeri, la 'prova del nove' è arrivata poche ore fa quando Zazza, bolognese di nascita e rossoblu di elezione, ha diviso il suo cuore a metà con un solo accenno di delusione al gol di Spolli che ha condannato il Bologna alla sconfitta e fatto risalire il Catania al terzultimo posto. E c'è di più: Zazza è convinto delle possibilità di salvezza del Catania... o meglio delle qualità di tecnico dell'amico Sinisa. Anche io voglio crederci, per i catanesi 'onesti' e veri tifosi che, però, devono smettere di fare del 'vittimismo' inutile e piuttosto gattopardiano. Degli altri, sinceramente, me ne infischio.

sabato 2 gennaio 2010

Le 'stelle' di Pino il sognatore





Pino Cuttaia è un licatese doc. Ha 42 anni e di mestiere fa lo chef. Uno chef con le 'stelle', due di quelle Michelin giusto per capire la caratura del personaggio. Dal momento che non sono un critico gastronomico, non voglio parlare di quanto Pino Cuttaia sia creativo e dell'esperienza sensoriale che si prova assaggiando i suoi piatti, una sacrosanta verità che lascio ai blog più professionali. Ma della sua sicilianità, dell'amore per la sua terra e per i suoi prodotti, dell'amore per il suo lavoro e del suo darsi ai clienti. Ma anche dei suoi dubbi e delle sue riflessioni su questa Sicilia avara con chi vuole rendergli merito.
Pino Cuttaia cucinava in Piemonte prima di decidere di tornare a farlo nella sua terra. Anzi nella sua Licata, esattamente in via Re Capriata 22, dove nel 2000 ha aperto insieme alla moglie, 'La madia' (www.ristorantelamadia.it). A segnalare il ristorante c'è una piccola insegna a bandiera sopra una porta a vetri satinata che impedisce di vedere il corridoio che introduce nell'unica sala. Cinque o sei tavoli in un'atmosfera elegante che nulla spartisce con il panorama esterno. I licatesi non frequentano il ristorante ma non ce n'è uno che non lo conosca. Del resto è l'orgoglio del piccolo centro dell'agrigentino lontano dalle rotte turistiche.
Ma di amore e dubbi volevo parlare. L'amore di Pino Cuttaia per quello che cucina, il suo voler sposare creatività e semplicità degli ingredienti tutti locali. Il suo raccontare di quella voglia di tornare nella sua terra dopo una vita vissuta da emigrato, della consapevolezza che solo in un luogo che considera 'suo' avrebbe potuto essere quello che è diventato e non rimanere soltanto un bravo esecutore. I dubbi sono quelli dell'uomo che si chiede il perché, invece di ricevere incentivi e apprezzamenti per la valorizzazione della terra e dei suoi prodotti, viene quasi guardato in tralice. E anche con una certa dose d'invidia e sufficienza. Perché la Sicilia è una terra ricca di odori, colori, sapori, sole, mare e buone cose. Ma anche una terra che non vuole crescere e non perdona chi sceglie di farlo.