lunedì 29 marzo 2010

Motivatore o non motivatore?



Voglio anch’io un motivatore. Mi dovrà convincere che posso arrivare dove voglio. Magari proverò a chiedergli di utilizzare le sue competenze per motivarmi ad alzarmi all’alba dopo una giornata passata a lavorare fino a notte inoltrata. Oppure a convincermi che, prima o poi, anch’io ce la farò a diventare ricca e famosa che, oggi, sembra l’aspirazione di tutti. Ripensandoci, però, del motivatore non penso di avere bisogno. Sono già dotata di abbastanza senso di responsabilità per rispettare le scadenze del mio lavoro e conciliarle con le esigenze familiari. E’ vero forse metto un po’ da parte quelle personali, ma questo non è mai stato un problema. E, contrariamente alle aspirazioni comuni, non voglio diventare ricca e famosa. Così, piuttosto, se avessi bisogno mi rivolgerei semplicemente a un psicologo che, più che motivarmi, dovrebbe aiutarmi a capire chi sono e cosa voglio.
Il motivatore, in questo momento, va alla grande nello sport. Lì sì che serve, secondo il pensiero generale: la pressione è alta e pure le richieste di allenatori, sponsor, entourage. Quasi come se l’atleta fosse in gara solo con se stesso, piuttosto che con altri atleti che ci mettono il medesimo impegno e la stessa abnegazione. Anche nelle aziende multinazionali e non, abituate a lavorare per obiettivi, è d’uso l’allenamento della mente per il miglioramento delle performance.


Così i motivatori proliferano. Uno di questi, al secolo Daniele Popolizio (già mental coach, che fa più figo, della record woman mondiale dei 200 e dei 400 stile libero, Federica Pellegrini, e della pattinatrice sul ghiaccio,Carolina Kostner, sesta ai Mondiali di Torino dopo essere finita con le terga sul ghiaccio alle Olimpiadi di Vancouver) lo ha assoldato, qualche settimana fa , il presidente della Lazio, Claudio Lotito, spedendolo nel ritiro dove i biancocelesti erano, a loro volta, stati spediti per ritrovare compattezza e tornare alla vittoria. Il ‘motivatore’, in quel caso, è stato respinto da coloro che avrebbe dovuto aiutare.
Secondo lo psicologo Fabio Cola, consulente del Parma dei tempi di Cesare Prandelli: «I calciatori vengono cresciuti solo in funzione dei risultati. Spesso non vanno a scuola, hanno poche relazioni sociali significative. La loro autostima è affidata a un solo parametro: il successo sul campo. Se falliscono vanno in tilt».
A preoccupare in questi meccanismi virtuosi (?), che si tratti di calciatori o altri sportivi, è proprio l’altra faccia della medaglia rappresentata dalla sensazione di fallimento che può attanagliare chi non riesce a vincere nonostante il motivatore. Perché è buona norma ricordare che, mentre nella vita tutti possono vincere nelle piccole e nelle grandi cose a patto di non spostare troppo in là l’obiettivo e di considerare nella giusta luce l’insuccesso, nelle competizioni sportive a vincere è uno e uno soltanto.

Ben vengano, quindi, motivatori e ancora di più psicologi sportivi (nel calcio giovanile la presenza di uno psicologo nello staff societario è obbligatoria) se il loro ruolo è quello di aiutare a crescere, a concentrarsi, a non soccombere alla paura di vincere, tecnicamente ‘nikefobia’ dalla parola greca nike che significa vittoria. Ma gli stessi dovrebbero, soprattutto, trasmettere un concetto molto più importante: l’umanità dei sentimenti, la non perfezione della razza umana, il saper perdere e la forza di rialzarsi e continuare. Perché, come ha riassunto un’altra campionessa del nuoto, Alessia Filippi (seguita anch’essa da Popolizio), inserendosi nel dibattito di questi giorni: «Va bene il motivatore ma prima devono esserci le qualità».

(pubblicato su Eventi di domenica 28 marzo, allegato trimestrale del quotidiano La Sicilia nella sezione 'punti di vista')

sabato 27 marzo 2010

Cricket troppo esotico, i giovani padani della Lega Nord di Desio preferiscono la 'lippa'


All'istituto Prati di Desio, comune della nuova provincia Monza-Brianza, i ragazzini di quarta elementare imparano a giocare a cricket. Dieci settimane consecutive di lezioni nell'ambito della psicomotricità e della multiculturalità in una cittadina dove la comunità pakistana è la più numerosa tra quelle straniere. Insegnanti d'eccezione alcuni pakistani di Desio che hanno proposto il progetto alla scuola dopo aver visto che i bambini italiani chiedevano di giocare con loro nel parco cittadino.

Il sì della scuola, però, ha sollevato un vespaio di polemiche nel Comune a conduzione leghista. Ad insorgere, con tanto di lettera di protesta proveniente da Dès (nome indigeno di Desio), è Fabio Molinari, esponente dei Giovani Padani. «Alla scuola elementare – che ho avuto io stesso la gioia di frequentare – non si sceglie più di raccontare ai bambini le tradizioni della Brianza, di insegnargli la nostra lingua né le nostre ricorrenze. É arrivata bensì la fantastica idea di far cimentare gli alunni nello sport nazionale del Pakistan: il cricket», si lamenta nel blog Desio in Padania, gestito dal Movimento Giovani Padani locale. «Una notizia di cui vergognarsi» perché «vediamo sparire all'orizzonte la nostra cultura». Cultura rappresentata, per esempio, dalla 'lippa', chiarisce subito dopo.

Confesso, da non padana, la mia ignoranza sulla 'lippa'. Me ne dolgo perché sono curiosa di natura e rimedio subito. Anche se ritengo che, come io fino adesso non conoscevo la 'lippa', il giovane leghista non conoscerà di certo il tipico gioco siculo dei 'ciappeddi'. Da cittadina del mondo, però, ho sentito parlare di cricket, ne ho viste sequenze di gioco in qualche film e, recentemente, anche in qualche telegiornale sportivo nazionale. Oltre che averne letto su diversi giornali. Perché, come forse non saprà il giovane leghista, la nazionale italiana under 15 di cricket è campione europea della divisione II. Con dedica particolare da parte del presidente della Federcricket (regolarmente affiliata al Coni, non pakistano, ma italiano), Simone Gambino, al leader della Lega Nord Umberto Bossi. La squadra azzurra, infatti, è composta quasi totalmente da figli di immigrati dallo Sri Lanka, Bangladesh, India e Pakistan. Se non è integrazione questa...

giovedì 25 marzo 2010

La Catania del 'Gabbiano d'argento'... riparte dal boom dei tredicenni della Roomy


C’era un volta una città alter ego della via Emilia del volley che correva lungo l’asse Parma-Modena. Era la Catania pallavolistica dei tempi d’oro, quella da dove era partito il Gabbiano d’Argento e che, ancora negli anni ’90, viveva riflettendosi nei successi giovanili della San Cristoforo Catania e nelle tante squadre che, dalla Pallavolo Catania di A1 fino alla B2, passando per la Playa Catania in A2, rinverdivano i fasti dello scudetto della Paoletti del campionato 1977/1978. Oggi Catania, dopo il tentativo naufragato della recente A2, è periferia del volley. Ma c’è ancora qualcuno che ci crede e tenta di ripartire da quel settore giovanile irrinunciabile se si vuole crescere.

Alla final-six della Boy League sono approdate, in mezzo alle corazzate Trento, Macerata, Falconara (allenata da Massimo Concetti che con la Paoletti vinse lo scudetto) e Padova, anche i milanesi della Vero Volley e gli etnei della Roomy Club, società che con i suoi 400 iscritti rappresenta uno dei più numerosi vivai siciliani. Ragazzetti di 13 anni, quelli della Roomy, che non immaginavano di poter arrivare alla fine di quest’avventura. Così come non lo immaginavano la società – per inciso nata nel 1978 sull’onda dell’entusiasmo dello scudetto della Paoletti – e i genitori che, per mancanza di sponsor e qualsiasi altro tipo di contributo, hanno messo mano al portafoglio per finanziare la trasferta per partecipare alla finale di Sestola in programma da oggi a domenica 28 marzo.

Ma i ragazzini della Roomy sanno di quale eredità sono depositari? «Assolutamente no. Già io che ho 30 anni ricordo appena quando a Catania giocavano Conte e Kantor – dice il tecnico Giovanni Barbagallo, figlio di due allenatori di pallavolo -. Comunque a me non piace vivere di ricordi, preferisco il presente, con la prima finale scudetto giovanile nella storia della Roomy, e l'organizzazione del futuro». Però, ammette Barbagallo «forse se io non fossi stato figlio dei miei genitori, testimoni di un passato importante, oggi non sarei qui a vivere di pane e pallavolo».

(pezzo pubblicato anche sul Corriere dello Sport del 25 marzo 2010)

Ps: la Roomy ha perso 3-0 con il Vero Volley Milano e giocherà la finale per il 5-6 posto. Va bene così, l'importante era esserci

mercoledì 24 marzo 2010

Una vigneron fuori dagli schemi




Il Vinitaly si avvicina. E quasi tutti gli attori (e i bevitori) del mondo del vino italiano si preparano all'annuale bevuta collettiva. Quasi tutti. Non ci sarà una delle produttrici che, fino a qualche anno fa, veniva annoverata tra le più giovani d'Italia, Arianna Occhipinti. Non so se adesso, alla soglia dei 28 anni, può definirsi anziana. Di sicuro, però, è cresciuta insieme con i suoi vini rigorosamente prodotti da uve coltivate con metodi biodinamici.




«Sono andata in vigna e in cantina per la prima volta a 16 anni con mio zio e ne sono rimasta folgorata. Ho capito che quello sarebbe stato il mio lavoro. Ho studiato viticoltura ed enologia a Milano e ho capito che non avrei mai usato tecniche da ricettario», mi raccontò quando la conobbi quattro anni fa.

«Io vivo nella vigna, mi piace potare, vivere con le mie piante… Pensare al vino, assaggiarlo, gustarlo, innamorarmi di 'lui', delle mille sensazioni, dei mille assaggi con l'emozione che si rinnova. Invece troppi vini, oggi, sono solo frutto di progetti studiati a tavolino, tutti senz'anima».

L'anima che c'è nei suoi vini nati sotto il sole di Vittoria, provincia di Ragusa, dei quali Arianna si prende cura tout-court: dalla terra (nella foto un paio di filari dei suoi vigneti) ai grappoli sulla pianta; dalla vendemmia all'imbottigliamento... fino al marketing aziendale che si estende negli Stati Uniti, in Giappone, in Francia, i paesi dove apprezzano di più i suoi vini, e non solo.



Andando a curiosare nel suo blog ho letto che il primo aprile a Catania farà una degustazione dove al Frappato, al Siccagno e all'SP68 (nome che si deve all'indirizzo della sua azienda agricola) affiancherà il 'Passo Nero', un passito di Nero d'Avola che ho avuto il piacere di assaggiare quando stava ancora in botte, e 'En primeur', un inedito bianco che, mi ha raccontato quest'estate, ha prodotto con un ceppo di uva bianca autoctona della quale non ricordo il nome. Un particolare trascurabile perché sarà insuperabile come il resto. La garanzia è data dal semplice fatto che abbia deciso di farlo assaggiare.

martedì 23 marzo 2010

«Piacere, il mio nome è HIV...»



- Signor Hiv come sta?

«Bene grazie. Nonostante non sia più un giovincello tiro avanti».

- Ma lei quanti anni ha esattamente?

«Ah che bella domanda…! Se fossi stato una donna non me l’avrebbe fatta, eeh?!...Comunque, ufficialmente, diciamo all’anagrafe, mi ha registrato il Dott. Robert Gallo il 23 aprile del 1984 , anche se dicono che abbia anche un altro padre putativo, il Dott. Montagnier. Francamente l’età esatta non me la ricordo, direi tra i venticinque e i trenta».

- Scusi se glielo dico, ma per la sua giovane età ne ha fatti di danni... Lei è un giovane serial killer...

«Beh effettivamente… Diciamo che mi sono dato da fare, anche se ormai ho perso il conto delle mie vittime, sa com’è, la matematica non è mai stata il mio forte ho sempre preferito chimica, biologia e criminologia».

- Ok, le rinfresco la memoria: nel mondo sono circa 40 milioni le persone infettate di cui oltre due milioni già decedute. E queste sono cifre sottostimate.

«Però, niente male! Ho fatto già un bel lavoretto!Ma nonostante ciò mi resta ancora molto da fare, ho parecchi margini di miglioramento un po’ ovunque, soprattutto in Africa, Asia, America Latina; poi ci sono buone possibilità di colpire maggiormente in America e in Europa. Insomma, come vede la mia guerra è senza frontiere e non guarda in faccia a nessuno: neri, bianchi, gialli, donne, uomini, bambini, poveri, ricchi…. C’è da divertirsi un mondo!»

- Forse qualche difficoltà superiore rispetto agli inizi della sua storia la incontra, no?

«Mmmhhh sì, effettivamente in alcune situazioni è diventata più dura. Penso per esempio a quanto era più facile quando non c’era quella maledetta cosa…. come la chiamate, “prevenzione”: preservativi, siringhe pulite e via dicendo proprio non li sopporto! E poi c’è quella iattura dell’informazione corretta e mirata che mi ostacola e mi rende tutto più difficile».


- Quindi si è fatto parecchi nemici?

«Eddai, è ovvio che cerchino di contrastarmi altrimenti vi spazzerei via tutti. Ma io non mi arrendo, anzi; poi posso contare su diversi alleati…»


- Tipo?

«Ora vuole sapere troppo, non sono così fesso da dirglieli!»


- Guardi che se non mi risponde chiudiamo subito l’intervista e non pubblico niente. Lei non avrà altre occasioni per finire in prima pagina.

«Ok ok, non faccia così… Non le dirò nulla di nuovo, in fondo. I miei alleati? La disinformazione e/o poca informazione, le condizioni di povertà e le scarse misure di profilassi, le campagne moraliste e gli integralismi religiosi, la discriminazione delle persone infettate, le politiche proibizioniste e punitive, le risorse minime per la ricerca, l’insufficiente e/o non efficace offerta di servizi sanitari e sociali accessibili a tutti, la mercificazione del sesso, gli interessi e i grandi profitti delle multinazionali farmaceutiche… Le basta?»


- Grazie, è stato molto esplicito. Mi farebbe l’identikit delle sue vittime in Italia?

«Come ho già detto, io non ho preferenze, colpisco indistintamente, certo è che oggi, soprattutto qui da voi i miei bersagli più facili sono i giovani che fanno sesso non protetto, soprattutto le donne. Con i miei amici (da voi volgarmente chiamati Infezioni Sessualmente Trasmissibili – IST) herpes genitale, epatite, gonorrea, sifilide, clamidia ecc… organizziamo dei bei festini! Si figuri che ad oggi ho già fatto 140mila sieropositivi e 3/4000 nuove infezioni l'anno non me le toglie nessuno! Andate in pace…».

Per gentile concessione di Gianantonio Toy Racchetti (Lila Catania) che coniuga in maniera (quasi) perfetta il suo pragmatismo milanese alla sua vita da catanese.

domenica 21 marzo 2010

Il Ponte sullo Stretto? Minitalia gioca in anticipo



C'è il Duomo di Milano e la Torre di Pisa, il campanile di San Marco e le Alpi. Il mare che lambisce le coste di cui si può sentire il rumore e pure il treno che dal nord porta al sud (è puntuale ma, in attesa del completamento della linea ferroviaria, l'ultima fermata è Taranto). Peccato sia tutto in miniatura perché siamo nel parco Minitalia di Capriate in provincia di Bergamo. Meta preferita di scolaresche provenienti da tutta Italia che, in un sol colpo, riescono finalmente a mettere a fuoco la morfologia dello Stivale (specialmente adesso che la geografia come si intendeva una volta latita dai programmi scolastici), Minitalia ha riaperto i battenti sabato 20 marzo dopo lavori di restauro che, recitano i comunicati, hanno riportato i mini-monumenti all'antico splendore. Splendore che, però, non si limita all'esistente ma allarga i suoi orizzonti a un futuro utopistico. Tra le vecchie glorie italiane, infatti, è comparso 'nuovo di zecca' anche il Ponte sullo Stretto. A campata unica come quello che, nelle intenzioni della società che ha avuto l'appalto dello sviluppo del progetto, dovrebbe unire le rive della Sicilia a quelle della Calabria. Per fortuna il 'ponte' è solo un'attrazione virtuale di un paesaggio che, ironia della sorte, mette in bella mostra - anch'essa nuova di zecca - pure una perfetta Salerno-Reggio Calabria. Forse sarebbe meglio cominciare da là. O magari dalle ferrovie o dalle autostrade siciliane. La tratta ferroviaria Catania-Palermo risale al 1865 salvo ammodernamenti vari ed eventuali; l'autostrada Messina-Siracusa-Gela progettata negli anni '60 deve ancora essere completata ma, nel frattempo, è stata inaugurata (così come la Messina-Palermo, nota come 'l'autostrada più inaugurata d'Italia') infinite volte nel solo tratto che da Catania porta a Siracusa finito soltanto nell'estate 2009. Beh... meglio non pensarci e farci un giro a Minitalia. Almeno lì hanno appena finito la manutenzione annuale.

sabato 20 marzo 2010

Volley solidale: a Monza per le famiglie Sma


A questo punto lo avrete capito. Sono una patita di pallavolo. E' uno dei tanti 'mondi' che frequento per lavoro. Ed è uno di quelli che preferisco. Beninteso non è che sia tutto rose e fiori, come dappertutto ci sono anche le spine. Ancora, però, tra quelli sportivi di massa (i tesserati del volley sono davvero tanti) è un mondo a misura d'uomo e di donna. Domani sarò al PalaIper di Monza per l'ultima di regular season dell'Acqua Paradiso Monza, squadra - anche questa forgiata nelle difficoltà - che, strada facendo, ha conquistato 'un' pubblico passando dalle trecento anime delle prime gare alle 3.600 attuali.

Domani l'ultima giornata della stagione regolare (gli avversari sono i campioni d'Italia di Piacenza) sarà dedicata alla solidarietà a favore dell'Associazione Famiglie Sma, genitori per la ricerca sull'atrofia muscolare spinale. I giocatori entreranno in campo tenendo per mano un bambino e chi vorrà potrà donare 2 euro acquistando una copia dei libri del tecnico-scrittore dell'Acqua Paradiso, Mauro Berruto. Un motivo in più per andare al PalaIper per continuare a seguire i brianzoli, o perché no, a fare la conoscenza con il mondo del volley.

giovedì 18 marzo 2010

A Bergamo pallavoliste "forgiate" e vincenti


Forgiate nel carattere dalle difficoltà. Un'affermazione che calza a pennello alle ragazze della Foppapedretti Bergamo, praticamente una succursale della nazionale azzurra di pallavolo campione d'Europa. Sempre in bilico sul filo di quell'equilibrio che non riesce mai a stabilire (come per tutte le altre pallavoliste) se sono più brave che belle o viceversa, loro con alterigia se ne fregano e continuano a schiacciare. Prendendosi anche qualche soddisfazione come aver battuto due volte a domicilio nel giro di cinque giorni le 'nemiche' di sempre della Scavolini Pesaro. Con la prima vittoria, Leo Lo Bianco e compagne, hanno ribaltato la sconfitta interna nell'andata dei play-off a 6 della Champions League e imboccato la strada di Cannes dove difenderanno il trofeo conquistato lo scorso anno. Con la seconda hanno vendicato la sconfitta subita nel girone d'andata.

Ragazze forgiate nel carattere... e non solo. L'intuizione, piuttosto immediata a dire il vero, è stata di uno degli sponsor, la Forgiatura Mamé, che per assonanza ha scelto la porzione di divisa sociale sulla quale collocare il proprio marchio. Guardate la foto, gentilmente concessa da Daniela Tarantini, e poi provate a dire che il responsabile del marketing (o chi per lui abbia preso la decisione) ha preso un abbaglio... o sia stato abbagliato!

mercoledì 17 marzo 2010

Giuliani (Bre Banca) alla fiera dell'ovvio


Alberto Giuliani (nella foto con Leonardo), allenatore della Bre Banca Lannutti Cuneo, formazione dell'A1 maschile di pallavolo, parlando dopo la visita a Milanello della sua squadra dalle colonne del Corriere dello Sport: «La maggior parte di loro erano più bassi dei miei». Sarà perché i suoi devono schiacciare oltre una rete alta 243 centimetri e quegli altri giocare limitandosi spesso a farlo 'terra terra'?

martedì 16 marzo 2010

A Monza 3600 spettatori, un patrimonio da preservare


Scrive Alberto Ambrogi su Cronaca Qui Milano:

La partita fra Gabeca Monza e Sisley Treviso giocata domenica pomeriggio al Pala Iper di Monza ha fatto registrare oltre 3600 spettatori, sfiorando il tutto esaurito. Un dato che deve far riflettere se si considera che si tratta della prima stagione di pallavolo nel capoluogo brianzolo: questa, infatti, non è altro che la squadra di Montichiari che, pochi giorni prima del via del campionato, era stata trasferita dal patron Marcello Gabana (poi tragicamente scomparso) dalla sua sede storica a Monza per beghe con l’amministrazione comunale monteclarense.
Nelle prime partite i ragazzi di Berruto hanno giocato davanti a spalti vuoti. Poi merito soprattutto dei clamorosi risultati sportivi conseguiti (l'Acqua Paradiso è quinta in classifica in condominio con Piacenza e Macerata e al PalaIper hanno vinto soltanto Trento e Forlì), domenica dopo domenica, hanno aumentato il seguito degli appassionati. Chi era al Pala Iper domenica scorsa e ha assistito a una delle più belle ed emozionanti partite della stagione, di certo tornerà domenica prossima per la sfida ai campioni d’Italia di Piacenza e poi per i playoff, quando la capienza di oltre 4000 posti dell’impianto monzese non bastare.
Tremilaseicento spettatori per una partita di pallavolo sono tanti, un dato nettamente superiore alla quasi totalità dei campi della Prima Divisione di calcio (la vecchia serie C1). Sono un patrimonio da presevare, sono 3600 persone che non si devono innamorare della pallavolo per poi essere deluse dall’ennesima chiusura. Monza ha trovato un pubblico da serie A e ora, se la presidentessa Giulia Gabana, dopo la scomparsa del papà, non se la sentisse di andare avanti qualcuno dovrà farsi avanti.

Una riflessione che condivido invitandovi a farlo perché un palazzetto pieno e in festa fa bene alla pallavolo.

sabato 13 marzo 2010

'Clamoroso al Massimino' con dedica al presidente dell'«amalgama»


"Clamoroso al Cibali". Frase da archivio storico del calcio, dai ieri è tornata più in auge di quanto lo fosse già. Chi bazzicca il variegato mondo del pallone italiano, infatti, la conosce bene tanto da tirarla fuori ogni volta che si vuole far diventare ponderabile l'idea dell'imponderabile.

Dopo 49 anni, però, il 'Clamoroso al Cibali', è tornato ad essere realtà nel senso più letterale del termine, con il Catania che batte l'Inter. Ma, nel frattempo, lo stadio di piazza Spedini ha cambiato nome diventando 'Angelo Massimino'. Quindi oggi sarebbe giusto dire 'Clamoroso al Massimino'. E non solo per il nome dello stadio ma per tutto quanto Angelo Massimino (scomparso nel 1996 in un incidente stradale sulla Catania-Palermo mentre andava a reclamare attenzione per il suo Catania) ha fatto per il calcio a Catania dove è stato presidente per 25 anni. Di lui si ricordano la genuinità e gli svarioni linguistici.

«Sto andando in un paese che non vi dico, a comprare due campioni brasiliani».

«C'è chi può e chi non può: io può!».

«I nostri tifosi ci seguono ovunque; in treno, in macchina, in nave, perfino con dei voli Charleston».

«Presidente, adesso con tutti questi giocatori nuovi mancherà certamente amalgama...» «Dimmi, Gigi (Prestinenza, giornalista che aveva fatto la domanda, ndr), in che squadra sta Amalgama, che lo compero!».

Senza di lui, senza le sue battaglie e senza il suo amore per il Catania Calcio, forse, non ci sarebbe stato un altro 'Clamoroso al Cibali'. Per questo, oggi, sarebbe giusto gridare 'Clamoroso al Massimino'.

venerdì 12 marzo 2010

Alessio Raciti vuole conoscere Mou, l'Inter lo invita al Massimino


Alessio Raciti, figlio dell'ispettore capo Filippo Raciti rimasto ucciso a Catania negli scontri seguiti al derby Catania-Palermo del 2 febbraio 2007, vuole conoscere Mourinho. Lo ha rivelato la vedova, Marisa Grasso, in un'intervista a 'Tuttosport'. E la società nerazzurra sta cercando di accontentarlo. Stamattina con una telefonata la signora Marisa e il figlio, tifoso rossonero sin da quando il Milan invitò il ragazzo alla merenda della squadra in occasione della partita al Massimino, sono stati invitati alla partita dalla società nerazzurra. E probabilmente Alessio riuscirà a stringere la mano allo 'Special One'.

Stasera per chi tiferà il ministro con doppia tessera?



Che il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, sia uno sfegata­to tifoso interista non è un mistero. L’ex ‘colonello’ di Alleanza Nazionale, oggi esponente del Partito della Libertà, fa sventola­re da sempre la sua bandiera nerazzurra che oppone con fierez­za alla fede calcistica del suo “capo” nel consiglio dei ministri, anche a Montecitorio dove fa parte sin da tempi immemorabili dell’Inter Club parlamentare che allinea personaggi trasversali. Ma Ignazio La Russa è anche paternese, ovvero nato a Paternò, comune da 50.000 abitanti in provincia di Catania. E dei rossazzurri del Catania ’46, il “nostro” è simpatizzante. Tanto da aver deciso, appena qualche giorno fa, di far parte dei soci fondatore del Club Catania Calcio 1946 costituito a Montecitorio (vedi post Trasversalità bipartisan... in nome del Catania '46). Altra “formazione” trasversale dove Ignazio La Russa, per esempio, posa sorridendo accanto all’ex ministro dell’Interno del Pd, Enzo Bianco. La domanda odierna, per il ministro a doppia tessera calcistica, è: “Per chi tiferà in tribuna d’onore al Massimino dove assisterà a Catania-Inter?”.

mercoledì 10 marzo 2010

Coppa vera o Coppa rifatta?



Tre giorni appena. E poi via. Una 'toccata e fuga' degna di un'amante capricciosa che vuole incontrare per l'ultima volta chi l'ha tenuta abbracciata, baciata, cullata. Anche se solo per una notte. La 'lei' capricciosa è la Coppa del Mondo, quella originale... sei chili di oro massiccio e malachite, sbarcata a Roma quattro giorni fa e ripartita ieri alla volta di Londra nel convulso 'Trophy Tour' griffato Coca Cola organizzato dalla Fifa. Ad accoglierla Gigi Buffon, l'amante attuale, e il più 'consumato' Bruno Conti che la cullò nell'anno di grazia 1982.

Poi il bagno di folla in piazza del Popolo. Le file infinite per scattare una foto alla teca (riflettente) nel rito più classico delle celebrazioni... quello del ricordo, per poter dire 'anche io c'ero'. Una frase che, a dire il vero, in tanti avevano creduto di poter pronunciare perché la fedele replica della Coppa del Mondo, che beninteso resterà per sempre nella cassaforte della Federcalcio pur essendo soltanto di leghe metalliche rivestita d'oro, gira per l'Italia da immemorabile tempo. E' stata la star di feste e sagre. Nel suo nome tutti si sono messi rigorosamente in fila per dire 'Anch'io c'ero'.



Peccato che non fosse la stessa alzata al cielo da Cannavaro e compagni... che sono stati i primi a non poterla portare a casa dopo la vittoria. Mettendo da parte i brasiliani che nel 1970, alla terza vittoria, la Coppa Rimet se la sono tenuta per sempre, la creazione dell'italiano Silvio Gazzaniga, prodotta dall'oreficeria Bertoni di Milano ed assegnata per la prima volta nel 1974, era sempre stata data in custodia alla nazione campione del mondo. Tradizione archiviata nel 2006, causa deterioramento, per il dispiacere di tutti coloro che erano certi di averla accarezzata davvero e non di aver fatto le fusa a una copia. Bella sì... ma, per rispettare lo specchio dei tempi moderni, più simile a un'amante siliconata che a una donna vera.
 

martedì 9 marzo 2010

Nessuna squalifica per il Mourinho-show




«Ninni Corda chi? Io conosco corda per legare, salto con corda… ma Ninni Corda no». Così (forse) parlerebbe José Mourinho nel vedere il suo nome accostato a quello di Ninni Corda, allenatore dell’Alghero, formazione sarda della Seconda Divisione di Lega Pro. Cosa c’entra Ninni Corda con José Mourinho è presto detto. Lo scorso primo novembre il tecnico dell’Alghero, squalificato dal giudice sportivo, si era sistemato nella tribuna riservata ai sostenitori ospiti e da lì continuava ad urlare e a sbracciarsi impartendo indicazioni tecniche alla sua squadra che, poi, ironia della sorte pareggiò 0-0 con la Villacidrese. Per questo il giudice sportivo (che lo aveva già squalificato per 7 giornate) gli inflisse un’altra giornata di squalifica in quanto, secondo il codice di giustizia sportiva (art. 22.7), a un allenatore squalificato è preclusa la direzione con ogni mezzo della propria squadra. La stessa sorte è toccata a Roberto Venturato, tecnico della Cremonese, sanzionato quindici giorni fa perché «in stato di squalifica impartiva al proprio vice indicazioni tecniche dalla tribuna».

E sia. Anche José Mourinho, sistemato a ridosso del campo, nell’agitata domenica della gara contro il Genoa continuava a sbracciarsi e (anche) a dare indicazioni ai suoi in uno show a favore di telecamere e fotografi. La posizione del giudice sportivo è stata molto morbida. Praticamente dello show non c'è alcuna citazione nelle decisioni del giudice sportivo appena pubblicate. Sarà dipeso dal rapporto dell’arbitro e da quello del delegato della procura che non ne hanno fatto cenno. Era difficile, infatti, che in una fattispecie del genere il giudice chiedesse l’utilizzo della prova televisiva. Con buona pace di Corda e Venturato. Però qualcuno dovrebbe almeno ricordare a Mourinho che ‘la calma è la virtù dei forti’. Ma forse non dei furbi.

martedì 2 marzo 2010

Trasversalità bipartisan... in nome del Catania '46


Chi ha detto che il calcio divide? Sarà vero nella galassia dei tifosi. In politica, invece, sembra avere uno strano effetto unificante. L'ultimo nato in fatto di fan club, nell'austera sede di Montecitorio, è il 'Club Catania Calcio 1946'.

Ventisei i soci fondatori, rigorosamente bipartisan.

In rigoroso ordine alfabetico ci sono i deputati Giuseppe Berretta (catanese del Pd), Matteo Brigandì (messinese, eletto nelle Marche per la Lega Nord), il promotore del gruppo Giovanni Burtone (catanese del Pd), l'ex presidente della Regione Sicilia, Angelo Capodicasa (agrigentino del Pd), Daniela Cardinale (palermitana del Pd), l'emiliano Pierluigi Castagnetti (Pd), Basilio Catanoso (catanese del Pdl), Roberto Commercio (catanese del Movimento per l'Autonomia, Alleanza per il Sud), il ragusano Giuseppe Drago (Udc), Vincenzo Gibiino (catanese del Pdl), l'ennese Ugo Grimaldi (Pdl), l'ex rettore dell'Università di Catania, Ferdinando Latteri (Movimento per l'Autonomia, Alleanza per il Sud), Angelo Lombardo (catanese, Movimento per l'Autonomia, Alleanza per il Sud), Nino Minardo (ragusano del Pdl), Fabio Porta (calatino del Pd), Giuseppe Ruvolo da Ribera (Pd), l'ex sindaco di Caltagirone, Marilena Samperi (Pd), Salvatore Torrisi (etneo del Pdl). Fanno parte del gruppo anche alcuni senatori: l'ex sindaco di Catania ed ex ministro dell'Interno, Enzo Bianco (Pd), il sindaco di Bronte, Pino Firrarello (Pdl), Salvo Fleres (Pdl), Enzo Oliva (MPA-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud), Giovanni Pistorio (MPA-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud) e il sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli (Pdl). Infine sono da aggiungere il ministro della Difesa, l'etneo-milanese Ignazio La Russa (che, per la cronaca, fa parte anche di vari club nerazzurri vista la sua conclamata fede interista) e il sottosegretario alle infrastrutture e trasporti, Giuseppe Reina.

Un gruppo che più eterogeneo non si può se si contano il messinese leghista eletto nelle Marche, la palermitana, l'emiliano, il tifoso nerazzurro e così via dicendo. Ma visto che il risultato è più simile a una scena da 'Tutti insieme appassionatamente' che alla bagarre da contrapposte fazioni politiche alla quale gli stessi personaggi danno voce tra i banchi di Camera e Senato e pure al Governo, allora un dubbio sorge spontaneo. Non è che spostando l'attività parlamentare negli stadi la litigiosità (politica) si abbassi?

venerdì 26 febbraio 2010

Baggio, Padre Pedro e i bambini di Andralanitra




Padre Pedro è un prete di origine slovena che ha costruito un villaggio sopra la discarica di Andralanitra in Madagascar. Ho conosciuto Padre Pedro leggendo un bellissimo libro di Mauro Berruto, allenatore di pallavolo che scrive - regalando emozioni - quando ha tempo. Padre Pedro è il protagonista di un ritratto che giace sereno a pagina 38 di 'Andiamo a Vera Cruz con quattro acca' (edizione Bradipo Libri). Padre Pedro incanta i bambini con il calcio e "insegna il Vangelo, ma solo dopo il calcio. Perché altrimenti i bambini andrebbero da un'altra parte", scrive Berruto che in Madagascar da Padre Pedro c'è stato davvero. "I bambini di Padre Pedro conoscono Gesù e Roberto Baggio; e se chiedi loro la differenza, ti rispondono che Gesù non avrebbe mai sbagliato un rigore in una finale del campionato del mondo".

Ieri ho sentito parlare Roberto Baggio. Di lui conoscevo i gol, così belli da poter essere raccontati come poesie, gli infortuni, quel rigore tirato in alto nella finale di Usa '94. Ieri ho sentito parlare un uomo, sereno e consapevole... che sarebbe felice tra i bambini di Padre Pedro.

Io il Baggio di ieri l'ho raccontato così per l'agenzia Italpress. E non me ne voglia Mauro Berruto se accosto una mia cronaca al racconto di Padre Pedro.



MILANO (ITALPRESS) - “Quando giocavo il mio desiderio era far divertire e far sognare”. Un compito che gli riusciva divinamente. Tanto da rimanere nell’immaginario collettivo, da Caldogno, provincia di Vicenza, dove è nato 43 anni fa, al più recondito luogo del mondo dove esiste una palla che rotola, come ‘Divin Codino’. Oggi Roberto Baggio è uscito dalla “sua scelta intima di riservatezza”, fatta perché “ho sempre considerato superficiali i riflettori e creduto che sia meglio parlare poco e bene”, per la celebrazione che gli è stata tributata da Gazzetta dello Sport che, in collaborazione con Rai Trade, proporrà dall’1 marzo ‘Io che sarò Roberto Baggio', una raccolta di 10 dvd che ripercorrono la vita di un “monumento nazionale”, come lo definisce il presidente della Rai, Paolo Garimberti. Pantalone grigio scuro, camicia bianca, giacca in velluto nero e sciarpa grigia a quadri neri, Roberto Baggio è il ritratto della serenità, anche dialettica (“Tifo per tutte le squadre con cui ho giocato”, “Agnelli, Berlusconi o Moratti? C’è stima per tutti, ho voluto bene tutti alla stessa maniera”, “Il miglior giocatore di ieri e di oggi? Non mi pare giusto parlarne”. Sorvola soltanto su Mourinho. A chi chiede da chi vorrebbe essere allenato tra Guardiola, Prandelli, Leonardo o Mou risponde: “Guardiola, Prandelli e Leonardo li stimo come allenatori e come uomini” dimenticandosi del tecnico interista), che contraddistingue le sue parole che, per una volta, fluiscono. Dagli infortuni da affrontare “con l’arma del coraggio per uscirne vincitori anche sul piano personale” affinché si trasformino “da sfortuna in un trampolino di lancio”, al buddismo che “ho avuto la fortuna di conoscere a 20 anni e che mi ha aiutato ad affrontare problemi e sofferenze trasformandole in un valore”. Dei cinque minuti di immagini proiettate in anteprima, prima del bagno di folla serale che lo attenderà al cinema Arcobaleno di Milano, più delle immagini dei gol rimangono impresse le parole di Luca Toni, suo compagno al Brescia: “E’ la persona più umile che io abbia mai conosciuto”. Non è, però, solo umiltà quella raccontata dai molti ospiti della sala Buzzati del Corriere della Sera, dove è stata presentata l’opera dedicata a lui dedicata. Parlano Gino Corioni, il presidente del suo addio al calcio, l’ultima delle otto squadre in cui ha giocato; Renzo Ulivieri ed Arrigo Sacchi con cui ha avuto screzi noti, al Bologna e in azzurro; Gigi Maifredi e Franco Baresi, il vecchio compagno di squadra al quale Baggio darebbe, così come a Maldini, il suo Pallone d’Oro; Teo Teocoli, che confessa di non essere mai riuscito ad odiarlo nonostante i suoi due gol fatti al Milan al suo esordio in viola, ed Enrico Bertolino; Adriano Galliani che svela un retroscena dei tempi del suo passaggio alla Juve. “Nel 1990 era già del Milan, ci eravamo inseriti positivamente nella trattativa tra la Juventus e la Fiorentina – racconta l’ad rossonero -. Poi chiamò l’Avvocato invitando Berlusconi a Torino e ci chiede di lasciarlo a loro visto che noi avevamo già vinto tanti trofei”. Quello dalla Fiorentina alla Juventus, insieme a quello precedente dal Vicenza alla Fiorentina, ammette Baggio “sono stati gli unici trasferimenti che mi sono passati sulla testa, le altre squadre le ho scelte io”. Anche se la tentazione di smettere lo ha sfiorato spesso prima di quell’ultima apparizione a San Siro, con la maglia del Brescia, il 16 maggio 2004. “I dolori non mi abbandonavano mai, era un fastidio non potermi allenare allo stesso ritmo dei compagni. Ogni fine stagione volevo smettere e solo grazie al mio manager (Vincenzo Petrone, ndr) che mi stimolava ho continuato fino a 37 anni. Ma quando sono entrato nel tunnel il giorno dell’ultima partita non avevo un solo rimpianto perché avevo dato tutto”, afferma il Divin Codino. Nella sua vita il rimpianto è uno solo, “quel Mondiale ’94, giocarlo in 5’ di rigori è un delitto. Credo sia più accettabile una sconfitta sul campo, in 90’ o in 120’”. Infine si dissocia dal razzismo imperante sui campi (“Non vedo perché la gente rifiuti di capire che siamo tutti legati dallo stesso destino”) e rivela che si interessa ancora di calcio – “Seguo il campionato argentino e i giovani” – e che potrebbe fare l’allenatore: “Potrebbe essere una sfida che potrei prendere in considerazione, anche se dal divano di casa sembra tutto semplice e poi allo stadio non lo è”. MCA (ITALPRESS)

venerdì 19 febbraio 2010

Vancouver 2010: io sto con Arianna



dal sito www.francescofacchini.it

Guardo la faccina di Arianna e penso che questi Giochi Olimpici invernali ripropongano con la consueta virulenza un problema ormai assurdo del nostro sport. Di ragazzi come lei ce ne accorgiamo soltanto ogni quattro anni, ma nel frattempo non sappiamo nemmanco dove siano e di che cosa campino.

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martedì 16 febbraio 2010

Via Padova... questa sconosciuta



Della zona di via Padova, a Milano, conosco la parrocchia San Giovanni Crisostomo di via Cambini. Mia figlia per un paio d'anni ci ha frequentato il gruppo scout Milano68. E nel quartiere, come è d'uso tra gli scout, bambini e ragazzi del Milano68 andavano in giro per offrire torte e manufatti per finanziare il gruppo. Quello di via Padova è un quartiere multietnico. Solo che multietnico non significa 'ghetto'. A meno che qualcuno non permetta che questo accada. Come? Non favorendo l'integrazione. Isolando chi è diverso. Facendo poco per lo sviluppo della legalità. Legalità che non ha colore, né nazionalità. Come l'illegalità. E illegalità non fa rima con clandestinità. A patto di non voler seguire la scellerata equazione clandestino=delinquente introdotta da legislatori folli che hanno dimenticato che l'Italia, prima di essere terra d'immigrazione è stata terra di emigranti. Di mantenimento della legalità dovrebbero occuparsi le forze dell'ordine, prima che le situazioni si incancreniscano. E in via Padova, dove le bande sudamericane e gli spacciatori (entrambi da catalogare tra i reali problemi di ordine pubblico) sono una realtà che necessitava di attenzione ben prima che l'omicidio di un giovane egiziano che si tende a dimenticare, facesse scoppiasse la guerriglia urbana.



Ma torniamo in via Padova. Dove vive tantissima gente onesta: italiani, egiziani, marocchini, cinesi, sudamericani e chissà quanta altra gente di svariate nazionalità. Che magari saranno clandestini ma nulla più. E' in via Padova che nata l'Orchestra di via Padova (foto), composta da musicisti professionisti italiani e stranieri che, per i motivi più diversi, hanno attraversato la zona compresa tra via Padova e viale Monza. In via Padova c'è l'istituto comprensivo 'Casa del Sole' del Parco Trotter dove oltre la metà dei 900 alunni iscritti hanno cittadinanza non italiana e dove ieri è partito un laboratorio di scrittura creativa per bambini.

Anche questa è via Padova, un luogo di convivenza civile e di integrazione possibile.

sabato 13 febbraio 2010

La morte non è spettacolo


Impossibile non rivolgere il pensiero alle Olimpiadi di Vancouver che si sono aperte ufficialmente qualche ora fa. E non per la cerimonia che Sky Sport sta proponendo a rullo, ma per la tragedia della morte del georgiano dello slittino, Nodar Kumaritashvili. Tragedia che - per ovvie e condivisibili ragioni - non ha sconvolto l'architettura della cerimonia d'apertura. Il ricordo del 21enne è stato affidato alla sua squadra che ha sfilato col lutto al braccio tra gli applausi commossi dei 60.000 del BC Place. A far pensare, invece, è la riproposizione macabra dell'incidente che ininterrottamente in tanti continuano a far vedere, in video (sul sito olimpico di Sky c'è addirittura un link) e in foto. Sono immagini che non aggiungono niente alla notizia. Non siamo in guerra, non c'è alcunché da capire, niente su cui indagare, nessun insegnamento da trarre dalle immagini di un ragazzo che muore per amore del suo sport. Solo una spettacolarizzazione della morte della quale nessuno può sentire l'esigenza. Piuttosto sarebbe bello ricordare Nodar con la sua faccia concentrata prima della discesa per la quale non pensava di dare la sua vita.

domenica 31 gennaio 2010

Massimo Mezzaroma e l'occasione persa


Vincere una Coppa Italia di pallavolo, pur se di A2, non è cosa da poco. Lo ha fatto, poche ore fa, la M.Roma allenata da un monumento del volley che risponde al nome di Andrea Giani, uno dei tre italiani inseriti nella Hall of Fame di Holyoke. Un traguardo non da poco per la società romana, 'autoretrocessa' in A2 dal suo presidente al termine della stagione 2007/08. Non bastarono, allora, la conquista della Coppa Cev e le semifinali scudetto, per convincerlo a non smobilitare continuando la sua avventura nella massima serie. Il presidente in questione denunciò il disinteresse delle istituzioni, disse ai suoi giocatori con contratti a 'cinque stelle' (Coscione, Marshall, Miljkovic, Mastrangelo) di accasarsi altrove perché la baracca chiudeva e ricominciò dall'A2.




Tale presidente, al secolo Massimo Mezzaroma, neo azionista di riferimento del Siena Calcio, non c'era quando i suoi giocatori alzavano al cielo la Coppa Italia vinta dopo aver battuto 3-0 la Zinella Bologna. Non possedendo il dono dell'ubiquità, Mezzaroma, ha scelto lo Stadio Olimpico dove il nuovo giocattolo ha perso 2-1 lanciando i giallorossi di Ranieri (dei quali il 'nostro' è tifoso) al secondo posto.

«Mi spiace non essere riuscito a far slittare la finale di Coppa Italia, come ho provato a fare», diceva un combattuto Mezzaroma alla vigilia dei due appuntamenti. «Ai ragazzi (del volley, ndr) ho voluto ribadire - continuava - che, nonostante l'impegno economico e il tempo che dovrò dedicare al Siena, non lesinerò per un solo minuto l'attenzione sul volley».

Peccato che, nel frattempo, nei minuti di attenzione già persi una Coppa è stata alzata al cielo.

venerdì 15 gennaio 2010

Fenomenologia dei 'guardaspalle'... del calcio


Ci sono scorte e scorte. Anzi ci sono personaggi e personaggi ai quali viene assegnata una scorta 'legale'. Di quella pagata dallo Stato. Tra questi personaggi ce ne sono alcuni anche nel calcio. Come il vicepresidente e amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani. Sorvolando sui motivi (sicuramente validi) per i quali chi di competenza ha deciso di assegnargliela sin dal maggio 2007, c'è un dubbio che mi assale ogni qualvolta noi, indisciplinata 'fauna' di giornalisti male avvezzi soliti frequentare quel luogo che è il palazzo della Lega Calcio di via Rosellini a Milano, gli andiamo incontro per rivolgergli le 'solite' scontate domande alle quali vengono date le 'solite' scontate risposte: perché il poliziotto 'guardaspalle' gli si para a protezione dell'intoccabile corpo quasi abbarbicandosigli addosso a braccia aperte dalla parte della schiena? Chissà... forse la 'razza' pericolosa siamo noi giornalisti o non quegli ultras che lo hanno minacciato.

martedì 12 gennaio 2010

La cicogna 'porta' Agata, 100% made in Zelig


Nascerà a giorni la prima figlia di Zelig, si chiamerà Agata (o Aituzza come la appellerebbero i catanesi che, prima o poi, le daranno la cittadinanza onoraria visto che non è facile trovare 'Agate' sparse così in giro per l'Italia) e probabilmente ieri ha assistito alla sua ultima conferenza stampa intrauterina: la presentazione della settima edizione di Zelig. Niente scherzi e niente inganni, come direbbero il Mago Forest e il suo esimio collega Silvano il mago di Milano, Agata sarà la 'prima' vera figlia di Zelig... da parte di madre (Katia Follesa del duo Katia & Valeria) e di padre (Angelo Pisani dei Pali & Dispari).


Prima c'erano stati il figlio di Vanessa Incontrada e la figlia di Teresa Mannino. «Ma erano figli di Zelig solo per metà. Questo è un figlio di Zelig al 100%», ha sottolineato Gino, alter ego di Michele, autori della fortunata trasmissione televisiva ma anche di "Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano". Eh sì, questa volta Zelig ha fatto proprio da 'paraninfo' (la citazione della divertente opera del catanese Luigi Capuana non è puramente casuale) ai due comici. «Ero una fan di Angelo ancora prima arrivare a Zelig - racconta Katia - ma lui non si convinceva e il corteggiamento è durato un po' troppo...». Fino ai tempi del 'paraninfo' Zelig... appunto.

venerdì 8 gennaio 2010

Balotelli, la 'rabbia' di un adolescente


Balotelli è un borioso giocatore arrogante o la 'vittima' della becera violenza verbale discriminatoria di un'Italia sempre meno tollerante e sempre più apertamente razzista? Questo è il problema. L'ennesima lotta tra fazioni contrapposte si gioca sulla pelle (in senso figurato e reale) di un ragazzo che rappresenta l'emblema del cambiamento della società: un italiano di pelle nera. Paradigma di una realtà che troppe persone cercano di rifiutare in nome di non si sa quale 'salvaguardia delle radici', quasi come se la razza umana fosse roba da wwf. Il coro 'Non ci sono neri italiani' è quanto di più becero possa ascoltarsi. Perché i 'neri italiani', o più semplicemente gli italiani di pelle nera, ci sono. E ce ne saranno sempre di più. Alcuni sono figli nati in Italia da immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza del nostro Paese, ci sono gli italiani per matrimonio (combinato o meno non cambia), altri sono i bambini adottati all'estero da coppie italiane. Tra questi, anche se la sua storia è molto più complicata e dolorosa perché 'SuperMario' è stato affidato alla famiglia Balotelli e la sua adozione (se il percorso è già stato completato) è stata un'adozione consensuale tra adulti. Capire quanto un adolescente - e Mario Balotelli lo è ancora... un adolescente, nonostante la prestanza fisica, il talento infinito, i soldi e la notorietà che il calcio, notoriamente 'insano' anche per adolescenti meno problematici, gli hanno regalato - possa essere influenzato dal proprio passato, dalle proprie origini, dai traumi nascosti nell'inconscio, dal senso di inadeguatezza che nasce dall'essere stati 'rifiutati', 'allontanati' o anche solo momentaneamente 'dimenticati' quando da neonati o bambini l'unico loro desiderio era essere amati, non è un esercizio semplice nemmeno per chi tutti i giorni fa i conti con bambini e ragazzi che sembrano in lotta perenne con il mondo. Per capire di più sull'argomento consiglio la lettura di 'Perché mi hai preso? Adolescenti adottivi' di Simonetta Cavalli. Contro l'ignoranza razzista, invece, rimane solo il compatimento da riservare a chi ritiene, senza ragione, di essere superiore.

mercoledì 6 gennaio 2010

«Al Catania ci pensa Sinisa», parola di Zazza



«Spogliatoio diviso? Niente paura, ci pensa Sinisa». Il commento è di un nuovo tifoso rossazzurro che risponde al nome di Ivan Zazzaroni. Giornalista sportivo, conduttore di Deejay Football Club e autore del blog zazza.blog.deejay.it, Zazza non è stato folgorato sulla via dell'Etna ma ha 'sposato' la causa da quando all'ombra del 'Liotru' (l'elefante simbolo di Catania per i non indigeni) è arrivato Sinisa Mihajlovic.



Della sua fede 'katanga', neologismo appositamente creato per indicare la squadra etnea, che perdurerà fino a che il serbo rimarrà ancorato alla panchina del club siciliano non c'è da dubitare. Dopo aver esultato al primo storico risultato utile del signor Mihajlovic, l'1-2 dell'Olimpico di Torino rifilato ai bianconeri, la 'prova del nove' è arrivata poche ore fa quando Zazza, bolognese di nascita e rossoblu di elezione, ha diviso il suo cuore a metà con un solo accenno di delusione al gol di Spolli che ha condannato il Bologna alla sconfitta e fatto risalire il Catania al terzultimo posto. E c'è di più: Zazza è convinto delle possibilità di salvezza del Catania... o meglio delle qualità di tecnico dell'amico Sinisa. Anche io voglio crederci, per i catanesi 'onesti' e veri tifosi che, però, devono smettere di fare del 'vittimismo' inutile e piuttosto gattopardiano. Degli altri, sinceramente, me ne infischio.

sabato 2 gennaio 2010

Le 'stelle' di Pino il sognatore





Pino Cuttaia è un licatese doc. Ha 42 anni e di mestiere fa lo chef. Uno chef con le 'stelle', due di quelle Michelin giusto per capire la caratura del personaggio. Dal momento che non sono un critico gastronomico, non voglio parlare di quanto Pino Cuttaia sia creativo e dell'esperienza sensoriale che si prova assaggiando i suoi piatti, una sacrosanta verità che lascio ai blog più professionali. Ma della sua sicilianità, dell'amore per la sua terra e per i suoi prodotti, dell'amore per il suo lavoro e del suo darsi ai clienti. Ma anche dei suoi dubbi e delle sue riflessioni su questa Sicilia avara con chi vuole rendergli merito.
Pino Cuttaia cucinava in Piemonte prima di decidere di tornare a farlo nella sua terra. Anzi nella sua Licata, esattamente in via Re Capriata 22, dove nel 2000 ha aperto insieme alla moglie, 'La madia' (www.ristorantelamadia.it). A segnalare il ristorante c'è una piccola insegna a bandiera sopra una porta a vetri satinata che impedisce di vedere il corridoio che introduce nell'unica sala. Cinque o sei tavoli in un'atmosfera elegante che nulla spartisce con il panorama esterno. I licatesi non frequentano il ristorante ma non ce n'è uno che non lo conosca. Del resto è l'orgoglio del piccolo centro dell'agrigentino lontano dalle rotte turistiche.
Ma di amore e dubbi volevo parlare. L'amore di Pino Cuttaia per quello che cucina, il suo voler sposare creatività e semplicità degli ingredienti tutti locali. Il suo raccontare di quella voglia di tornare nella sua terra dopo una vita vissuta da emigrato, della consapevolezza che solo in un luogo che considera 'suo' avrebbe potuto essere quello che è diventato e non rimanere soltanto un bravo esecutore. I dubbi sono quelli dell'uomo che si chiede il perché, invece di ricevere incentivi e apprezzamenti per la valorizzazione della terra e dei suoi prodotti, viene quasi guardato in tralice. E anche con una certa dose d'invidia e sufficienza. Perché la Sicilia è una terra ricca di odori, colori, sapori, sole, mare e buone cose. Ma anche una terra che non vuole crescere e non perdona chi sceglie di farlo.